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Una porta sbilenca, un pianoforte, un prato verticale, e una danza di luci. Benvenuti sul palco de La regina Dada, debutto teatrale del duo Stefano Bollani e Valentina Cenni. Lui musicista jazz eclettico e dall’indomabile verve toscana, lei giovane attrice e danzatrice. Un’unione che li vede insieme non solo nella vita, non solo sul palco, ma anche nell’ideazione e scrittura di questo lavoro, con Bollani a sperimentare un mezzo ancora mai provato, il teatro.
Una storia, in questa vicenda di surrealtà, musica e impressioni visive, proprio non c’è, o per lo meno è difficile da raccontare, così come ci si aspetterebbe da un’opera dadaista quale, in effetti, questo spettacolo si candida a essere. Sulle orme delle riflessioni sul linguaggio, sul tempo, sulla vita e sulla morte che le avanguardie novecentesche hanno affrontato e impastato con creatività e azzardo, Bollani e Cenni raccontano la storia della regina Dada, sovrana non per scelta e ora in fuga, rifugiata in casa del suo maestro di musica. Al pianoforte, neanche a dirlo, c’è Bollani, muto per gran parte dei primi minuti di spettacolo, tanto che si penserebbe quasi di sentirlo solo suonare (e già potrebbe bastare, visto che tutte le musiche della pièce sono sue e sono, come sempre, di altissimo livello), e invece parlerà anche, a dialogo con la regina. A dire il vero, tra i motivi di fuga del personaggio inscenato dalla Cenni c’è anche il linguaggio, sempre pronto a mentire e ingannare, mentre alla regina interessa una purezza, un’essenzialità che sembra trasparire dalla musica, dalle vibranti note del pianoforte. Come il linguaggio, le gabbie di cui parla lo spettacolo sono molteplici, mosche fastidiose che attraversano il nostro quotidiano e sollecitano le nostre reazioni più standardizzate, senza farci rendere conto di agire molto spesso come automi.
Contro a tutto questo, nel cozzare permanente tra fantastico e realtà, con suggestive danze di luce, una coreografia delle mani al ritmo del pianoforte, e ancora una regia che alterna musica parole e incisioni sonore dal piacevolissimo carattere dadaista con atmosfere vintage un po’ anni Sessanta, cerca di lottare la regina Dada. Un po’ ci riesce, un po’ ci ricasca anche lei. E non è tanto uno scontro, allora, quanto un viaggio spaesato, semplice e allo stesso modo cerebrale, un po’ malinconico, ma anche immancabilmente ironico, quello che vi attenderà a teatro in questa moderna e nuova favola dal divertito e consapevole sapore surrealista.