Errore sul database di WordPress: [Table 'artintim_w4etrsxd.4azgpt3J_ppress_meta_data' doesn't exist]SELECT * FROM 4azgpt3J_ppress_meta_data WHERE meta_key = 'content_restrict_data'
Se non l’hai comprato da solo, te l’hanno regalato i parenti dopo aver saputo dell’inizio della tua ultima “fatica” universitaria. Non c’è scampo; è inevitabile. Non devi per forza averlo letto (anche se male certamente non ti ha fatto): è un talismano. Sul comodino di ogni tesista, spesso velato da uno strato sottile di polvere, c’è sempre una copia di Come si fa una tesi di laurea, il notissimo saggio scritto da Umberto Eco. Prima edizione: 1977, Bompiani. E tutto sommato è lì che deve stare, anche rimanendo intonsa e priva di orecchie o segnalibri: rappresenta un modello, un punto di riferimento, la sicurezza di avere un aiuto a portata di mano. Non sa se mai arriverà a sfogliarla ma l’importante è che il tesista sappia, precisamente, dove si trova.
Quella necessaria ovvia banalità
«Una tesi di laurea è un elaborato dattiloscritto di lunghezza media variabile tra le cento e le quattrocento cartelle in cui lo studente tratta un problema concernente l’indirizzo di studi in cui si vuole laureare». Inizia così, necessariamente preciso nella sua ovvia banalità. Come si fa una tesi di laurea è ormai un caposaldo della letteratura del ventesimo secolo. Ben ventitré edizioni dalla sua prima uscita in libreria. L’onnipresente ospite di bibliografie e scrivanie, commenti e letture notturne dovute all’ansia e all’insonnia. Un’opera che ha viaggiato parecchio essendo stata tradotta in ben diciassette lingue. E sembrerà strano ma negli Stati Uniti non era ancora arrivata. È stata infatti appena pubblicata How to Write a Thesis, grazie alla traduzione di Caterina Mongiat Farina, docente presso l’Università DePaul.
Quindi i lettori americani hanno resistito ben trentasette anni prima di accorgersi dell’esistenza del saggio di Umberto Eco. Eppure, se ci pensiamo bene, non è una cosa così anormale: sistemi formativi diversi, abitudini scrittorie e tematiche differenti. E poi c’è il fattore tempo: Come si fa una tesi di laurea è stata scritta, come ricorda il New Yorker in un suo pezzo, prima dell’impatto sulla società di internet e delle nuove tecnologie. Da allora è cambiato il mondo e il modo di scrivere una tesi, gli strumenti utilizzati, il linguaggio adoperato.
Un testo cristallizzato
La domanda che mi pongo è semplice. Quel libro è ancora attuale? Non è facile trovare una risposta. Sono convinto però che una parziale verità può essere estrapolata proprio da quella “ovvia ma necessaria banalità” che troviamo sparsa nelle sue pagine. Se sono cambiate, infatti, le metodologie e gli strumenti, non sono certamente cambiate le basi su cui costruire il proprio lavoro. Ovvero quei pilastri che servono poi per riversarne lo stile, il look, il design. In una parola: la propria firma.
Faccio un esempio. «A lavorare bene, non c’è nessun argomento che sia veramente stupido: a lavorare bene si traggono conclusioni utili anche da un argomento apparentemente remoto o periferico». Banale, no? Eppure necessario e meno scontato di quello che si possa immaginare. Oggi è mutato il reperimento delle informazioni, lo studio delle fonti, l’analisi del materiale. Ma alla base di tutto sta il fatto di “lavorare bene”. Con metodo e certosina coerenza. Questa è una regola cristallizzata dal tempo, come l’opera di Eco.
La tesi come la vita
Insomma, meglio tardi che mai. Nonostante l’anzianità, quell’opera resta davvero un mantra da tenere, per l’appunto, sul comodino. Soprattuto in tempi dove il massimo testo scritto da ciascuno di noi è quello relativo all’ultima mail inviata e dove la tesi è la prima vera prova d’autore che i ragazzi si trovano ad affrontare nel loro percorso di studi.
E nella parola tesi, come ricorda il New Yorker, si nasconde la parola vita. Il testo di Eco è in fondo “a Guide to Life”. L’affetto che proviamo nell’iniziarla, nel portarla avanti e nel completarla è sovrapponibile alla conduzione dell’esistenza: «La tua tesi è come il tuo primo amore: sarà difficilissimo da dimenticare».