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Una ragazza porta una chiave su un monumento celebrativo, una colonna sulla quale svetta la testa di un uomo. Sono molte le chiavi che penzolano da quell’effige e sono tutte chiavi di alberghi. Comincia così Grand Budapest Hotel, il nuovo film di Wes Anderson che racconta la storia di Gustave H., concierge del Grand Budapest Hotel, leggendario albergo dell’immaginaria repubblica di Zubrowka. La storia narrata trae origine dalle opere si Stefan Zweig e Anderson sceglie di servirla allo spettatore attraverso un attento gioco di cornici narrative. La ragazza della prima scena infatti serve a introdurre il libro, scritto da quello stesso uomo il cui volto svetta sulla cima della colonna: The Author, l’Autore. Il romanzo narra la storia di come l’Autore abbia conosciuto Zero Moustafa, il proprietario del Grand Budapest Hotel nel 1968. All’interno di questo primo flashback, che ci porta a conoscere Zero adulto, Anderson colloca un secondo flashback che ci porta indietro nel tempo, quando Gustave H. era il celebre e brillante concierge del Grand Budapest Hotel.
Ha origine così una narrazione in perfetto stile Wes Anderson, ricca di fantasia e di personaggi decisamente sopra le righe, egli riesce a piegare gli attori al suo volere, plasma la loro recitazione adattandola al suo mondo e al suo modo di fare. Tilda Swinton viene invecchiata e risulta quasi irriconoscibile nei panni di Madame Céline Villeneuve Desgoffe-und-Taxis, semplicemente Madame D., lo stesso Jude Law nei panni dell’Autore giovane dimostra grande abilità nel restituire al pubblico quei tratti caratteristici dello stile andersoniano. Lo spettatore viene trasportato nella repubblica di Zubrowka attraverso treni, carceri e dolcetti di Mendl’s grazie anche alla pasticcera Agata.
Quando si guarda un film di Anderson è impossibile non appassionarsi ai personaggi, che nel bene e nel male risultano sempre estremamente simpatici. Lo spettatore a fatica riesce ad odiare i cattivi, perché dipinti con tale ironia e intelligenza da risultare fondamentali ai fini della narrazione e soprattutto estremamente simpatici e accattivanti, un esempio è dato dal figlio di Madame D., Dmitri, interpretato da uno splendido Adrien Brody, al suo fianco poi abbiamo il temibile ma allo stesso tempo grottesco J.G. Jopling, interpretato da Willem Dafoe, killer professionista, spietato e sanguinario. Impossibile non lasciarsi strappare un sorriso anche di fronte ai terribili compagni di cella di Gustave H., improbabili assassini e delinquenti. Prendendo in esame poi i personaggi “buoni”, degno di nota è il protagonista, Gustave H., concierge davvero singolare: è impossibile comprendere quello che gli passa per la testa e soprattutto capire quali piani diabolici sta cercando di mettere in atto, a interpretarlo è il bravissimo Ralph Fiennes, a completare le sue azioni c’è Zero, The Lobby Boy, il fattorino interpretato dal giovane Tony Revolori, che dimostra grandi abilità nelle espressioni mimiche facciali, sono molti infatti i primi piani che inquadrano il suo volto e che restituiscono allo spettatore sguardi degni dell’epoca del muto.
Grand Budapest Hotel ha i tratti colorati di una fiaba, dialoghi originali e brillanti, man mano che la storia procede nella narrazione lo spettatore si ritrova ad aprire nuove scatole cinesi, all’interno delle quali escono centinaia di emozioni e di momenti magici che, fin dai primi fotogrammi, incantano lo spettatore e lo tengono con il fiato sospeso fino a quando non si arriverà a scoprire chi è il vero proprietario del Grand Budapest Hotel, come ha fatto a ereditarlo Gustave H., come è arrivato nelle mani di Zero e soprattutto: chi è l’assassino di Madame D.? Mi piace pensare che ogni scatola aperta dallo spettatore sia una scatola di Mendl, il pasticcere che rifornisce il Grand Budapest Hotel, all’interno di ognuna di queste si trova una prelibatezza sempre più buona, sempre più buona, fino a quando arrivi all’ultima scatola dove incontri il premio finale, quello che ti gratifica che corrisponde con il momento in cui ogni dubbio viene rivelato e la matassa intricata finalmente si sbroglia.
Grand Budapest Hotel in gara al Festival del Cinema di Berlino ha fatto vincere a Wes Anderson l’Orso d’Argento, gran premio della giuria. E’ un film che merita di essere visto da soli e in compagnia, per lasciarsi trasportare nei mondi incantati di Wes Anderson e trascorrere con lui due ore ricche di divertimento e avventura.