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La velocità del buio è la personale di Irene Gittarelli, giovane artista classe 1991, che inaugurerà il prossimo giovedì, 4 febbraio, alle ore 18.00, nelle sontuose sale di Spacenomore, a Palazzo Graneri della Roccia, Torino.
“Complice e amica della semioscurità” così viene definita Irene Gittarelli, già laureata all’Accademia Albertina di Torino e ora studente di fotografia all’Accademia di Brera, a Milano. Tra le due città si muove l’artista, fotografa da quasi 10 anni sotto la guida del torinese Plinio Martelli. Non nuova alle mostre – nel suo curriculum troviamo diversi appuntamenti internazionali e un progetto artistico in collaborazione con le OGR in fase di sviluppo – con La velocità del buio Irene mette in scena il suo mondo onirico e surreale. Gli scatti rivelano un gusto cinematografico, sono spesso scene enigmatiche, frame di racconti interrotti che galleggiano, come rebus irrisolti, nella penombra, elemento ricorrente.
Il buio, prima paura consapevole dell’infanzia, incute timore, ma acuisce anche i sensi. La capacità dell’occhio di adeguarsi alla notte per cercare nuovi punti di riferimento e coordinate è metafora della vita, di un istinto di sopravvivenza che porta continuamente a ricalcolare il proprio percorso, non arrendendosi mai. Il buio, coltre protettiva che permette di osservare senza essere notati, può così diventare l’alleato migliore, se compreso ed esplorato. È un ossimoro attribuire una velocità al buio, scientificamente ubiquo e perciò immobile. La luce, episodica e intermittente, ne interrompe la continuità, anche se solo temporaneamente. Immaginare il buio come veloce vorrà dire allora interpretarne la simbolica negatività non solo come transitoria, ma come un qualcosa che passa in fretta. Adattare il proprio sguardo all’oscurità non significa affatto assuefazione e rassegnazione, quanto, al contrario, riuscire a ricavare forze e capacità di percepire persino il più lieve fremito luminoso, la più sottile scarica di energia positiva. Anche quando tutto sembra perduto.
La mostra è composta da tre progetti:
“There is a light that never goes out”: istanti di una normalità surreale. Filo conduttore è una luce fioca e crepuscolare, ma al contempo tenace, un positivo lume di speranza che riscatta l’oscuro e malinconico senso di smarrimento e abbandono.
“I Contrariati”: l’oscurità pericolosa dell’ignoranza, intesa come non conoscenza e non consapevolezza. Il progetto vuole rappresentare la ribellione e il riscatto delle giovani generazioni benestanti, di ceto medio-alto, generalmente disinteressate alla situazione politica. Giovani manager, signorine snob e bon ton insorgono contro un potere corrotto e logoro, che non si preoccupa di danneggiare le classi più basse al fine di garantire il mantenimento dei propri privilegi.
“Fluidify“: il buio/oscurità contro cui armarsi. Oscurantismo, sinonimo di una chiusura mentale che alimenta sin dalla nascita pregiudizi instillati da educazione, società e religione nel rapporto con il proprio corpo. “Perché i fluidi che il nostro corpo espelle per svariate ragioni, sia nel nostro intimo che a un occhio esterno, creano disagio?” Irene Gittarelli pone questo interrogativo in modo esplicito in un’indagine e ricerca estetica su atti ed aspetti della fisicità corporea che la società o l’educazione molte volte conducono a vivere in modo negativo.
La mostra è curata da Francesca Canfora e sarà visitabile fino al 6 marzo dal lunedì al venerdì, con orario 10-19.