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È il 12 settembre 2001, the day after, forse il giorno peggiore, quello in cui sono sparite la sorpresa e la concitazione e sono rimasti l’orrore, la devastazione e la realtà dei fatti. Ed è in questo giorno che David Foster Wallace, fedele al giornalismo culturale, decide di raccontare il giorno dell’Orrore e il giorno dopo così come sono stati vissuti in quella strana comunità che è il Midwest.
Strana perché quella di questo stato è una società molto chiusa, che vive degli incontri in parrocchia e nei centri sportivi, che non si incontra con gli altri al ristorante o al bar, ma solo in casa dei vicini per guardare la tv e che è restia a scambiare due chiacchiere cortesi con gli estranei.
È il 12 settembre 2001, the day after, l’Orrore si è consumato poco più o poco meno di ventiquattr’ore prima e nei giardini, sui balconi e i sui tetti delle case, nei radiatori delle macchine, nelle cassette della posta sono spuntate “bandierone, bandierine, bandiere delle normali dimensioni di una bandiera” perché servono “per dimostrare il nostro sostegno e la nostra solidarietà rispetto a quello che sta succedendo, quanto americani.”
E lui, Wallace il diverso, all’improvviso sente il bisogno di uniformarsi e si reca a caccia di una bandiera, ma sembrano essere tutte sparite. Non gli resta che disegnarsene una da solo, con cartoncino e pennarelli, segno evidente di quella differenza che lo rende un estraneo rispetto agli altri abitanti di Bloomington.
Dopo averci descritto mirabilmente e in modo più che puntuale gli abitanti del Midwest e le loro reazioni del giorno seguente, David Foster Wallace fa un salto indietro e ci racconta il giorno dell’Orrore partendo da quella cosa che tutte le persone, di tutto il mondo, si ricorderanno pensando all’11 settembre 2001: dov’erano e cosa stavano facendo.
Lui, nello specifico, era sotto la doccia e stava ascoltando la radio; poiché sprovvisto di televisione, esce di casa con i capelli ancora mezzo incrostati dal sapone e si reca a casa “della signora Thompson, che è una delle settantaquattrenni più in gamba del mondo ed è esattamente il tipo di persona che in caso di emergenza anche se trovi il telefono occupato sai che puoi semplicemente andare lì da lei.”
Insieme a lui, in quel salotto, ci sono altre donne, tutte signore che frequentano la parrocchia e che assistono attonite allo spettacolo agghiacciante che sta passando davanti ai loro occhi attraverso la televisione.
E, nel mezzo del dramma, lo scrittore ci descrive la casa, tipica villetta di provincia, piccola, quasi un bungalow per i gusti della West Coast, ci fa capire che nel Midwest la struttura famigliare è quella degli anni cinquanta, con i mariti che lavorano e le donne che fanno le casalinghe. E ci presenta questo manipolo di donne come persone un po’ ignorantelle, limitate e chiuse nel loro mondo: “A questo punto emerge che nessuna delle persone con cui sto guardando l’Orrore – neppure quelle poche che sono andate a vedere Cats durante una qualche sorta di viaggio di gruppo con parrocchia nel 1991 – hanno anche solo la più pallida idea della topografia di Manhattan e non sanno, per esempio, quanto sono a sud del Financial District e la Statua della Libertà; bisogna mostrarglielo facendo segno col dito oltre l’acqua di fronte allo skyline che tutte (grazie alla tv) conoscono bene.”
Subito dopo, però, si ricrede e precisa che “queste brave signore non sono né stupide né ignoranti” e quel senso di alienazione che comincia a provare deriva dal fatto che “le signore di Bloomington sono, o cominciano a sembrare: innocenti” perché non notano affatto la strana combinazione dei tre presentatori in maniche di camicia, o i capelli arruffati ad hoc del conduttore del tg, oppure che le immagini più spettacolari vengono trasmesse di continuo in modo che le vedano tutti, anche quelli che si sono appena sintonizzati.
E poi, il caro Wallace, azzarda un’ipotesi pazzesca: “nessun’altra sembra notare che gli strani occhietti spenti di Bush sembrano avvicinarsi costantemente l’uno all’altro durante tutto il discorso registrato, né che alcune frasi suonano identiche quasi al limite del plagio a quelle pronunciate un paio di anni addietro da Bruce Willis (nella parte di uno svitato estremista di destra, notate bene) in Attacco al potere. Né che almeno in parte lo shock delle ultime due ore deriva dalla precisione con cui varie inquadrature e scene hanno rispecchiato le trame di qualunque cosa dai tre episodi di Die Hard a Air Force One a Debito d’onore di Tom Clancy. Nessuna è abbastanza sarcastica e sofisticata da presentare l’ovvio, perverso reclamo postmoderno: Tutto Questo L’Abbiamo Già Visto.”
Chissà cosa avranno pensato i suoi connazionali a leggere nero su bianco, a distanza di poco di un mese, la teoria del complotto uscire dalla penna di David Foster Wallace?
Un racconto pazzesco, questo, un misto tra articolo giornalistico e romanzo, che racconta da una prospettiva totalmente nuova e diversa i tragici eventi di quel giorno di settembre che ha cambiato per sempre la storia.