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Chiara Dello Iacovo - l'intervista -

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Chiara Dello Iacovo – l’intervista


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Classe 1995, sbarazzina allegra e un po’ spaesata alla primissima tappa dell’instore tour che la vedrà protagonista per tutto febbraio in giro per l’Italia, subito dopo il debutto sanremese che l’ha fatta conoscere al grande pubblico, portandole anche il premio Assomusica e il premio della sala stampa Lucio Dalla – nuove proposte. È così che Chiara Dello Iacovo, chitarra alla mano, racconta di sé, dell’esperienza al Festival e di quella, precedente, a The voice, del suo disco nuovo uscito il 12 febbraio, “Appena sveglia” e della voglia inesauribile di conoscersi facendo musica.

20160213_114135Quali sono state le tue impressioni ed emozioni sul palco dell’Ariston?

Ero più agitata la seconda sera rispetto alla prima, infatti non ricordo assolutamente niente di quel che ho fatto sul palco, non mi sono ancora rivista e non so quando lo farò! Ero altrove, sono molto contenta di come sono riuscita a vivere l’esperienza: di solito quando scendi da un palco e non ti ricordi cosa hai fatto è positivo, significa che eri lì, ma non eri lì! Tra l’orchestra che mi ha accolto a braccia aperte, l’ambiente della mia casa di produzione, che è molto familiare, e il maestro Morini che contribuiva ad accrescere questa sensazione, ho davvero vissuto tutto come una vacanza in famiglia.

Com’è stato incontrare i big a Sanremo?

Il primo che ho conosciuto di persona è stato Andy dei Bluvertigo, che adoro e che ha esordito dicendo, alle tre del pomeriggio “ciao, sei dei giovani, vuoi una grappa?!”. Però sì, è strano e c’è stato un cambiamento. Quando ho fatto The Voice e ricevevo complimenti e un riscontro con il pubblico, mi sentivo in difetto, perché stavo interpretando canzoni di altri e secondo me non stavo facendo niente di così personale da meritare quei complimenti. Se avessi conosciuto cantanti famosi in quel periodo lì probabilmente mi sarei sentita in dissonanza. Invece ora che ho portato una mia canzone, un mio progetto, me stessa e le mie cose, e che mi sono messa in gioco fino alle punte delle dita dei piedi, era tutto molto più naturale, mi sentivo al mio posto ed è stato tutto un processo spontaneo.

Le tue canzoni nascono spesso in modo semplice, con voce e chitarra. Come hai vissuto l’interpretazione di Introverso accompagnata da un’intera orchestra?

L’arrangiamento originale della canzone non prevedeva la sezione di archi, che pure in orchestra c’era, e ci sarebbe sembrata sprecata se non utilizzata. Quando abbiamo fatto la prima prova a Roma abbiamo provato prima la ritmica, poi la ritmica insieme agli archi e poi tutta l’orchestra, e quando ho sentito gli archi, che non avevo mai sentito suonare quella partitura, è stato bellissimo. È lì che ho realizzato “caspita, sto andando a Sanremo e c’è un’orchestra che suona la canzone che ho scritto in camera un anno fa”. È stata veramente intensa come esperienza.

Ci racconti la storia del tuo primo album, “Appena sveglia”?

Si chiama “Appena sveglia” perché volevo esprimere l’idea dello stato psicofisico in cui ci troviamo appena svegli, la totale onestà con se stessi e con chi ci circonda, perché ancora non abbiamo avuto tempo di metterci addosso tutte le sovrastrutture e protezioni per affrontare la realtà. Le canzoni del disco sono nate non per necessità di fare un album, ma per necessità mie, di dovermi sfogare e capire, quindi sono tutte molto vere, come quando sei appena sveglio. Credo di essere io il filo conduttore di questo album. Le canzoni trattano tematiche diverse, arrivano da influenze musicali diverse e la preoccupazione di quando stavamo producendo l’album era proprio quella di non riuscire a trovare una coerenza. In realtà poi l’abbiamo trovata, sia a livello di suono – si sono rivelate più simili di quanto pensassi – e sia perché ci sono io come comune denominatore.

Sei autrice delle tue musiche e dei tuoi testi: come lavori? Ci sono prima la musica o le parole?

Dipende. La rivolta dei numeri è una filastrocca che ho messo in musica, è facile che un testo sia indotto da un motivo e da un reef che avevi già tra le mani. Introverso non mi ricordo come sia nata: avevo questo giro di accordi, e poi sono arrivate parole a flusso di coscienza. Quando sto scrivendo una canzone non so mai bene cosa stia per scrivere, poi mano a mano che vado avanti capisco, e allora prende una forma più definita. Per i ritornelli però scrivo sempre prima la musica e poi il testo, ho provato a fare il contrario ma non sembrano ritornelli.

Autrice, ma anche regista dei video delle tue canzoni, come si coniugano queste due diverse esigenze artistico-espressive?

In realtà non sono di quelle persone che a tre anni avevano già deciso di fare i cantanti, anzi, ancora ora non sono così sicura che questa sia la mia strada predefinita per sempre. La vita è lunga e si cambiano tante idee. Paradossalmente però, due anni fa il fatto di aver fatto la scelta di dedicarmi a questo percorso mi ha permesso di dare spazio anche a tutti i miei altri interessi che spaziano dal disegnare il libretto dell’album, a scrivere, suonare, occuparmi dei video… Sono piani di narrazione diversi, quindi puoi raccontare cose diverse. Le immagini hanno la grande dote di saper veicolare e amplificare ancora meglio una musica e le parole. Con il video di Introverso, per esempio, sono voluta tornare al significato iniziale della canzone. Ancora prima dell’arrangiamento, è nata così, mentre ero in camera di albergo durante l’ultima settimana di The voice, e ho deciso che avrei dovuto scrivere qualcosa perché sennò sarei morta. In primo piano c’era il testo, era una canzone che voleva muovere una critica, quando l’abbiamo arrangiata ho litigato con il mio produttore perché avevo paura che questa sonorità molto allegra, frizzante e accattivante la facesse passare per una canzoncina di cui nessuno avrebbe considerato il significato. Col video, siccome sono testarda, ho voluto riportare l’attenzione su cosa stesse dicendo la canzone. E poi c’è anche una parte nonsense, dimensione che mi appartiene molto, con gli omini con le teste strane che sono nati su carta quando ero in studio a registrare. Ho disegnato l’omino con la testa da porcospino e… Era un introverso!

C’è una figura che ti ha incoraggiata a seguire la strada della musica?delloiacovo1

La mia prima e unica insegnante di canto. Ho fatto canto due anni e mezzo e poi mi sono stufata, ma lei è diventata una sorella maggiore, è stata la prima che mi ha spronato a cantare e accompagnarmi al pianoforte. Insomma mi ha incentivata a muovermi e le devo tanto, ha sempre creduto in me fin da tempi insospettabili in cui neanche io mi vedevo proiettata in qualcosa del genere.

A quali musicisti e cantanti ti sei ispirata e hai fatto riferimento?

Sono partita riscoprendo la musica italiana, nella prima adolescenza ero ancora sul versante pop anglosassone, invece poi ho scoperto Mannarino e poi sono passata a De Gregori. Ma a casa mia si è sempre ascoltata un sacco di musica bella, quindi ho fatto tanti anni di ascolti passivi, non c’era niente che mi spronasse ad andare a cercare qualcosa di meglio. Mio padre ascoltava Pink Floyd, Beatles, Genesis e quell’area, mia madre invece Bennato, Fossati, Mannoia, e quindi andava bene così, mi crogiolavo in questi ascolti. E poi ho iniziato il mio percorso. I pilastri da cui sono partita, se devo ridurli a quattro punti cardinali, sono stati De Gregori, Mannarino, Cremonini e De André.

In passato hai lavorato con i Noais, una band astigiana: cos’ha rappresentato per te questa collaborazione?

Con i Noais ho un rapporto di amicizia che va al di là dell’ambito artistico, sono stati i primi che mi hanno dato la possibilità di portare le mie canzoni, la “me cantautrice” davanti a un pubblico. Fino a quel momento avevo fatto solo saggi di canto, spettacoli di teatro e concerti di musica classica. Ora ci siamo un po’ persi, io lavoro tra Milano e Torino e loro tra Asti e Torino, loro sono molto più indie e folk, io più pop, abbiamo preso due percorsi diversi. Ma sono stati i primi con cui ho fatto le prime esperienze da cantautrice, e devo molto a loro.

Con chi ti piacerebbe collaborare?

Daniele Silvestri e Niccolò Fabi, ci metterei la firma subito! Niccolò l’ho conosciuto a Musicultura, un festival meraviglioso per cantautori, sono arrivata tra gli otto vincitori allo sferisterio di Macerata e tra i super ospiti presenti c’era anche Niccolò.

Tre aggettivi per definirti?

Testarda, sicuramente. Scostante, e c’è chi dice selvatica, ma ce ne sarebbe una sfilza, sono piuttosto complessa! Sono stata in America sei mesi durante il quarto anno di liceo, e lì ho scoperto tutta un’altra parte della mia personalità che è quella più introspettiva, schiva, riflessiva. Da piccola invece ero un’animale da palcoscenico, esibizionista ed egocentrica all’ennesima potenza, molto cocciuta. Una cosa che è rimasta coerente, però, è che sono sempre stata molto salda sulle mie convinzioni, me ne sono sempre un po’ fregata – in senso sano – di come avrei dovuto fare le cose secondo leggi disposte dall’alto.

Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

Sì, ho già quasi tutti i pezzi dell’album nuovo, li stavo scrivendo mentre stavamo producendo l’album.

C’è un tour in arrivo?

Partirà ad aprile, con una data zero da Aosta, perché i nostri musicisti sono di Aosta, poi faremo un bel giretto in estate, saremo sui palchi e in giro ai festival che è la cosa più bella dell’universo!

 


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