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A sette anni da Synecdoche, New York Charlie Kaufman torna a dirigere. E lo fa con la stop motion. La mente brillante dietro alcune delle più poetiche sceneggiature che esistano (Essere John Malkovich, Se mi lasci ti cancello, Il ladro di orchidee) cerca l’assolutà libertà creativa producendo parte del film grazie al crowfunding, lanciato nel 2012 su Kickstarter. Affiancato dall’animatore Duke Johnson, Kaufman usa i pupazzi animati per raccontare la storia di Anomalisa.
Michael Stone (David Thewlis) è un uomo sposato, di mezza età con una carriera di successo come motivatore nel campo dell’assistenza clienti. Atterrato a Cincinnati, per tenere una conferenza, alloggia all’hotel Fregoli. La sera prima dell’evento, tuttavia, cade in piena crisi esistenziale. Nel tentativo di scrollarsi di dosso questa sensazione opprimente contatta una ex e i due si incontrano ma con scarsi risultati. Non aiuta il fatto che tutte le persone che circondano Michael abbiano la stessa voce anonima (ogni personaggio è doppiato da Tom Noonan, star del primo film da regista di Kaufman), specchio del grigiore interiore che il protagonista sta attraversando. Finché una voce argentina risveglia la scintilla sopita in Michael. Lisa (Jennifer Jason Leigh), una timida e ingenua venditrice telefonica, è la ventata d’aria fresca che il protagonista (e lo spettatore) stava aspettando.
Vincitrice del Gan Premio della Giuria all’ultima mostra di Venezia, Anomalisa è una commedia amara che riflette su temi universali come la misantropia, la ricerca della felicità e dell’anima gemella, senza essere banale e scontata. Anzi è un opera estremamente reale che tocca corde profonde più di quanto ci si possa aspettare da un lungometraggio senza attori in carne ed ossa. O forse proprio l’assenza di volti noti permette la totale identificazione.
Un film che racconta l’intimità in maniera impeccabile, con una memorabile scena di sesso intrisa di corpi nudi, sigarette, canzoni pop (Cindy Lauper presta il suo inno alla goffa Lisa) e cicatrici morali e fisiche. Dipinge l’uomo in tutta la sua mediocrità e inadeguatezza senza giudicarlo ma semplicemente rivelandone le debolezze. Fa sì che la fragilità dell’esistenza sia il perno del racconto, che l’emozione di un nuovo amore nato inaspettatamente si riveli, consumi e svanisca in poco più di 90 minuti. Le caratteristiche del cinema di Kaufman ci sono tutte: l’umorismo surreale, la ripetitività e la noia come fardelli dell’essere umano, l’interrogativo circa il sospirato desiderio di felicità. Temi già esplorati nelle collaborazioni con Spike Jonze e Michel Gondry.
Un’ode alla vulnerabilità che fa delle anomalie dell’altro una forza attrattiva senza cadere nello scontato lieto fine. Il regista gioca sul contrasto tra un media come la stop motion, mirato a uso e consumo di un’audience più giovane (escludendo Tim Burton) che istantaneamente dona un clima fiabesco, e la serietà dell’aspetto psicologico del gioco di maschere di cui Michael è protagonista.